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Una traccia di rosso – Racconto Lesbo

Sono stata sempre molto riservata per quel che riguarda le mie inclinazioni sessuali: soprattutto sul posto di lavoro, non mi è mai sembrato sensato urlare ai quattro venti che preferisco le donne agli uomini.

Quindi, in ufficio, dove comunque siamo tutte donne tranne un omosessuale assolutamente dichiarato, passo per la zittella impenitente: quella che sfugge ai legami, preferendo le storie brevi, con persone di cui spesso non mi ricordo nemmeno il nome.

So che le colleghe spettegolano, attribuendomi relazioni improbabili con uomini della produzione e del magazzino, magari anche sposati, ma alla fine per me non è questo un gran problema. So come muovermi per divertirmi senza che nessuno debba ficcare il naso.

Tutto scorreva tranquillo, almeno fino al suo arrivo: la nuova collega, quella che arrivava dalla sede centrale. Si vociferava fosse l’amante di un alto dirigente, che l’aveva spostata, sempre con mansioni dirigenziali, in una sede di provincia per evitare problemi con la moglie.

Poteva anche essere: in effetti era una bella ragazza, bionda e minuta, ma dotata di un carattere forte. Si era imposta subito, modificando le dinamiche dell’ufficio e reggendo saldamente il bastone del comando. Per le mie colleghe questo aveva offerto la ragione per spettegolare continuamente.

“È sicuramente frustrata, per questo si sfoga sul lavoro.”

Per me non era questo un grande problema: continuavo a svolgere i miei compiti con impegno, senza farmi coinvolgere da faide inutili, e quindi la nuova dirigente non mi aveva creato problemi.

Salvo per quella strana sensazione che provavo ogni volta che veniva in ufficio da me: dopo un iniziale periodo di reciproco studio, si affidava sempre più spesso alle mie conoscenze, soprattutto quando c’era da gestire le diverse persone dell’ufficio.

E ogni volta, sembrava prendere sempre più confidenza. Era partita con la richiesta di darci del tu, per limitare le formalità. Poi mi aveva raccontato della sua passione per i gatti e per i fiori: non immaginavo che uno “squalo” sul lavoro potesse essere anche un’amante dei boccioli fioriti.

Le confidenze erano andate avanti quando, ridendo, mi aveva detto che le avevano già attribuito una relazione con il direttore generale. Che era alle soglie della pensione e probabilmente era più interessato al padel che al sesso.

“È uno degli hobby di questo ufficio: vedono relazioni clandestine praticamente ovunque. Per loro io sarei andata a letto con metà degli uomini di questa azienda.”

Avevamo riso di queste insinuazioni che ci accumunavano: solidarietà femminile, ne ero stata sicura, fino al momento in cui avevo visto un lampo nel suo sguardo. Qualcosa che non ero riuscita a definire.

Da quel momento le visite al mio ufficio si erano fatte sempre più frequenti, come i contatti ravvicinati: ogni occasione sembrava buona per appoggiarsi o affiancarsi, anche solo farmi vedere un qualsiasi documento sullo schermo.

Il profumo dolce e intenso che usava in ufficio mi rimaneva addosso per tutto il giorno e anche la sera, quando tornavo a casa. E fin troppo spesso mi sorprendevo a pensare a lei non come avrei dovuto fare.

Avevo sempre separato nettamente lavoro e vita privata proprio per non correre rischi: e ora stavo cadendo ai piedi di una ragazza che aveva almeno dieci anni meno di me e che probabilmente non pensava nemmeno di tentare di sedurmi, ma cercava semplicemente un’amica in un ambiente ostile.

Ma più andavamo avanti, più il gioco si faceva evidente: le sue non era attenzione casuali, era ben attenta a non farsi notare, ma era nel mio ufficio più di quanto fosse nel suo. Qualche volta mi aveva anche convocato da lei, per controllare alcune cose, ma lì era stata decisamente più attenta: troppi vetri, posizione centrale e troppi occhi a controllare.

Ero rimasta per settimane in quella sorta di limbo, dove la nuova dirigente invadeva le mie giornate e anche i miei sogni, sempre più spinti. Ogni volta che si avvicinava e sentivo il suo profumo, sentivo anche salire la mia eccitazione, fino a livelli imbarazzanti: tanto che alcune volte ero corsa in bagno, a darmi piacere da sola, per poter continuare a lavorare Fino a quella mattina.

Eravamo a ridosso di un ponte, quindi molte impiegate avevano preso una giornata di ferie per godere di un week-end lungo. Io ero rimasta in ufficio a chiudere alcune pratiche, poi sarei andata a pranzo e dopo mi ero presa mezza giornata di riposo.

Lei era arrivata di nuovo nel mio ufficio: i primi bottoni della camicia slacciati, tanto da poter vedere chiaramente il reggiseno rosso. Rosso come il rossetto che disegnava le labbra: più adatto a una serata fuori che a una giornata di lavoro.

Tutto quel rosso mi aveva confuso, tanto da non capire quello che mi diceva: l’avevo fatta ripetere più volte.

“Non stai bene? Forse è meglio se ti accompagno un attimo in bagno.”

Mi ero fatta guidare senza opporre resistenza: in effetti non mi sentivo troppo bene, la troppa tensione accumulata rischiava di farmi scoppiare. Per un attimo avevo desiderato stenderla sulla scrivania e infilare la testa tra le sue gambe, e avevo sentito la testa girare dalla forza del desiderio.

In bagno mi ero sciacquata la faccia con acqua fredda, ma era servito a poco: mi sembrava di andare a fuoco e lei non era ancora uscita dal bagno. L’avevo guardata dallo specchio: non era preoccupata, conoscevo quello sguardo, quello di chi ha raggiunto il suo obbiettivo.

Mentre la fissavo attraverso lo specchio l’avevo vista bloccare la porta del bagno e farmi segno di fare piano, con l’indice davanti alla bocca. Poi si era avvicinata, sinuosa, e mi aveva baciato sul collo. Un bacio che presto si era trasformato in un morso, quasi doloroso.

“Voglio mangiarti.”

Non aveva aspettato nessun cenno da parte mia: si era inginocchiata e aveva infilato la mano tra le mie gambe, facendo scivolare gli slip. Mi aveva divaricato e bloccato le gambe, mentre io mi appoggiavo al lavandino, per sorreggermi e offrire più spazio.

Avevo trattenuto il fiato, finché non avevo sentito il suo respiro caldo sulla mia vagina.

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