A cena dal capo – Racconto Cuckold

Pare che ricevere un invito a cena a casa del capo sia segno del massimo apprezzamento da parte del proprietario e socio unico dell’azienda per cui ho da poco iniziato a lavorare. Quindi deduco dovrei essere contento, anche se le chiacchiere e i mezzi ammiccamenti che ho notato nei giorni precedenti all’invito mi hanno lasciato perplesso.

Del mio capo so che si è fatto da solo e che ha una ex moglie felice di essere mantenuta in Svizzera: lui ha scelto una seconda moglie russa, una sorta di “moglie a catalogo”, più giovane dei suoi figli. Una gran figa, a quanto si dice, che non frequenta gli uffici della ditta.

Mi sono preparato al meglio: completo elegante, sbarbato e profumato. Anche se non ho idea di cosa mi riservi la serata. La villa sulle alture è bella come me l’aspettavo e la mia automobile tende a sfigurare tra i modelli di lusso che intravedo nel garage. Mi apre una cameriera, in divisa: credevo ci fossero solo nei film.

La serata inizia in modo tranquillo: un aperitivo nel salone, durante cui mi viene presentata Tamara, la seconda moglie. Tipica bellezza dell’est, occhi azzurri gelidi e capelli biondi corti. E uno sguardo diretto, che sembra volermi fare i raggi x.

La conversazione ha un tono leggero, con argomenti generici: la padrona di casa interviene poco, anche se mi sembra che capisca perfettamente l’italiano. A tavola i posti sono vicini e io mi trovo proprio a fissare quegli occhi azzurri penetranti, perché siamo uno di fronte all’altra: mentre il capo sembra osservarci dalla sua posizione a capotavola.

Il vino è buono: anche perché ho speso una fortuna. Forse da un po’ alla testa, perché mi sembra di sentire qualcosa che mi sfiora la gamba. Non è il vino: è il piede morbido e delicato di Tamara, che parte dalla caviglia per risalire nella sua carezza fino quasi al pube.

Rimango sorpreso: e davvero, non so cosa fare. Se non fosse la moglie del mio capo, mi butterei a pesce, ma cosa rischio? Tamara insiste e guardo il marito, per cogliere qualche segno di una potenziale ira: invece vedo solo un sorriso malizioso. Il mio istinto mi dice di proseguire.

Allora le afferrò la caviglia, cercando di non farmi notare, e sposto il piede più in alto, così può arrivare a sfiorarmi il cazzo: i pantaloni sono sottili, secondo me può già sentire la mia erezione che si fa avanti. 

Tamara non si tira indietro e inizia un attento massaggio, disegnando la forma e la lunghezza del mio uccello con il piede: faccio fatica a mantenere un’espressione impassibile e un minimo di conversazione.

“Tesoro, perché non versi un po’ di vino al nostro ospite.”

Tamare potrebbe farlo comodamente da dove è seduta, invece si alza, passa dietro al marito accarezzandolo leggermente sulla nuca e mi si avvicina. Prima non avevo notato il suo profumo, dolce e intenso. Afferra la bottiglia e mi riempie il bicchiere, rimanendo in piedi accanto a me mentre me lo porto alle labbra.

Sostengo il suo sguardo, chiedendomi quale sarà la sua prossima mossa: che è decisamente banale, me la sarei dovuta aspettare. Con un colpo maldestro fa cadere la mia forchetta. E immediatamente si china per raccoglierla.

Ovviamente la forchetta rimane per terra, mentre velocemente mi slaccia cintura e pantaloni: in pochi secondi il mio cazzo è nella sua bocca. Mentre il marito ha spostato leggermente la sedia, probabilmente per godersi meglio lo spettacolo.

E in effetti è un pompino spettacolare: riesce a inghottirlo tutto e lo copre di saliva, facendo scivolare su e giù le labbra e stringendo leggermente quando arriva al glande. La lascio fare e ogni tanto cerco lo sguardo del mio capo: che sembra soddisfatto di vedere la moglie all’opera, ma che sta aspettando la parte più interessante dello spettacolo.

Perché ormai ho capito di essere l’attore chiamato a recitare per questa sera: ora sorrisini e ammiccamenti hanno un senso. Niente di male, sperando solo non abbia conseguenze sul lavoro: ma con una lingua magica che mi ruota intorno alla cappella, cercando di insinuarsi nel piccolo buco dell’uretere, tutte le preoccupazioni spariscono.

Devo in qualche modo ricambiare tanta cortesia: quindi fermo delicatamente Tamara e la faccio alzare da quella posizione scomoda. Sul tavolo c’è un sacco di spazio libero, quindi l’afferro per i fianchi e la sistemo accanto alle posate, con le gambe a penzoloni: il tavolo è alto, ma anche io lo sono e la sua figa si trova all’altezza perfetta per essere scopata.

Le sollevo il vestito aderente e le apro le cosce: non dovrei sorprendermi di non trovare nemmeno un perizoma a coprire una figa perfettamente depilata. Per un attimo mi chiedo se dovrei fare qualche preliminare, magari leccargliela un po’. Ma il mio capo che estrae dalla tasca un profilattico e me lo porge mi toglie ogni dubbio.

La spingo dolcemente ma deciso, in modo che si stenda e sia completamente a mia disposizione: indosso il profilattico e lo infilo dentro, senza esitazioni. Comincio a pompare forte: la sua figa non fa resistenza, anzi bastano pochi colpi per sentire un familiare rumore di liquido che esce e probabilmente va a macchiare la preziosa tovaglia.

Il capo non si è alzato dalla sedia, ma non si perde nemmeno un movimento. Non si muove, ma decisamente gradisce lo spettacolo.

“Ti piace scopare questa troia, vero? Dai, fammi vedere come fai a farla godere, voglio sentirla urlare.”

Non mi faccio pregare e aumento il ritmo, finché Tamara non comincia a gemere sempre più forte: a questo punto cerco di metterci tutta l’energia che ho, fino a che non urla e si agita in modo incontrollato.

“Vienile addosso, la devi coprire di sborra!”

Per fortuna posso obbedire agli ordini del mio capo: sento l’uccello che sta per scoppiare e mi levo appena in tempo il profilattico prima di vedere schizzare lo sperma sulla sua figa e sul vestito tirato su. Da tempo non ricordo una sborrata così copiosa. Il capo sembra contento, lo sento ridere, mentre mi chiede quando sarò pronto per il secondo round.

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