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La sfilata – Racconto Femdom

L’educazione che mi ha inflitto la mia signora è sempre stata molto rigida: se commettevo degli errori oppure non ero rapido a obbedire, la punizione era inevitabile. Questo dalla prima volta in cui l’avevo conosciuta.

Mi era venuta a prendere all’aeroporto in Cecoslovacchia, nella città in cui si sarebbe tenuto uno dei più grandi raduni di mistress e sub a livello europeo: ero stato fortunato, non credevo che la mia candidatura sarebbe stata accettata, sia per la mia giovane età che per la mia poca esperienza.

Gli ordini erano quelli di baciarle i piedi appena ci fossimo incontrati: ma, circondato da tanta gente, mi ero sentito in imbarazzo, e mi ero limitato a un inchino poco aggraziato. Per quel primo errore Miss Julia mi aveva quasi perdonato: niente punizioni troppo gravi, ma già in taxi avevo dovuto indossare un vistoso collare rosso, a cui presto sarebbe stato collegato un guinzaglio.

L’evento era ospitato in un hotel completamente riservato e chiuso ad altri clienti: appena entrati nella hall la mistress mi aveva fatto inginocchiare e indossare il guinzaglio, per un breve giro di presentazioni tra i presenti. 

Eravamo molti schiavi, chi a quattro zampe come me, chi semplicemente in ginocchio, in attesa di ordini dalla padrona che gli era stata assegnata. Perché tutti noi schiavi avevamo una “padrona temporanea”: quella definitiva ci avrebbe scelto durante il clou dell’evento, quella che per noi sarebbe stata una sorpresa.

I giorni precedenti sarebbero stati utili per le “valutazioni”: le signore ci avrebbero messo alla prova, per capire fin dove potevamo arrivare con la nostra obbedienza. In definitiva, se eravamo degni di essere degli schiavi.

Le regole erano quelle dell’obbedienza a tutte le mistress: noi schiavi dovevamo essere praticamente nudi all’interno dell’hotel, salvo che le signore volessero farci indossare qualche abito particolare, indossare il collare e dormire in stanza con gli altri schiavi. Le signore ci avrebbero chiamato quando necessario e noi dovevamo essere pronti a scattare.

Chiuso nelle stanze dell’hotel per quella full immersion di tre giorni, avevo perso rapidamente il senso del tempo. Non era facile capire se era giorno o notte, se era il momento di dormire o di mangiare: quindi approfittavo per riposare e nutrirmi quando la signora Julia o una delle sue amiche non aveva bisogno di me.

La prima sera avevo visto un apericena in cui tutti gli schiavi si erano trasformati in servizievoli a quattro zampe: Julia aveva messo alla prova la mia capacità di rispondere ai comandi del guinzaglio, portandomi a spasso a lungo e concedendomi anche di mangiare qualche suo avanzo. Ovviamente da terra.

Mi ero comportato abbastanza bene, salvo quel momento in cui mi ero distratto e non avevo seguito immediatamente la mia padrona: che mi aveva punito, con dieci frustate sferrate da una sua amica particolarmente crudele.

Durante la giornata successiva, le mistress erano andate a fare shopping e a noi sub era toccato riordinare le loro camere: in questo ero stato perfetto, tanto da guadagnarmi una carezza. Un ragazzo, che non aveva notato una cicca di sigaretta in un angolo, era stato punito con durezza.

Per la sera le signore ci avevano portato dei completini da cameriera: sarebbe stato nostro compito servire la cena, vestiti di tutto punto. Non ero stato perfetto nel servizio e la signora Julia mi aveva obbligato a stare in ginocchio accanto al suo letto per tutta la notte: se per qualsiasi evenienza avessi avuto bisogno di lei.

Ovviamente non avevo chiuso occhio: sia per la paura della punizione, sia perché dovevo servirla al meglio. Avevo riposato solo qualche ora durante la mattina, in attesa di sapere quale sarebbe stata la grande sorpresa che ci attendeva.

Dopo pranzo, le signore ci avevano portato delle gabbiette di castità: sarebbe stato il nostro accessorio, insieme al collare, per la sfilata. Perché quella era la sorpresa: avremmo sfilato, come in un antico mercato degli schiavi, per essere scelti da quella che sarebbe diventata definitivamente la nostra padrona.

In pochi minuti mi ero ritrovato su un palcoscenico allestito in sala da pranzo, insieme agli altri schiavi, sotto lo sguardo severo delle mistress: alcune prendevano anche degli appunti. Miss Julia mi guardava, osservava, misurava con gli occhi.  Stava scegliendo il mio destino e io non stavo nella pelle per l’attesa.

La gabbietta di castità avrebbe limitato comunque la mia erezione, ma dovevo dimostrare il massimo controllo: avevo abbassato lo sguardo ogni volta che incrociavo quello della signora, in attesa che mi venisse vicino o che mi facesse almeno un segno di assenso. Speravo che quella sottomissione fosse apprezzata.

Avevo trattenuto il respiro quando avevo percepito la sua presenza vicino a me: nei giorni passati al suo servizio avevo imparato a riconoscere il suo profumo. E ora il mio sguardo era puntato sugli stivali in pelle nera che le fasciavano la gamba fino al ginocchio.

Lucidi, anche perché era stato mio compito renderli così, erano perfetti sul suo fisico: avevo osato alzare lo sguardo, solo un po’, per non farmi scoprire. Il vestito di pelle nera fasciava perfettamente le curve della mia signora, non lasciando nulla all’immaginazione. Sotto non vi era biancheria, che avrebbe stonato, anche se sottilissima, ma solo la sua pelle nuda e morbida, come la potevo immaginare.

E in mano, una frusta corta: piccola ma micidiale, come avevo potuto vedere quando era stato il momento di punire qualche sub poco obbediente. Nelle sue mani, con le unghie lunghe laccate di rosso, tutto sembrava perfetto.

Avevo sentito la frusta appoggiarsi delicatamente sulle mie spalle: un segno che la signora desiderava qualcosa da me. E con le sue mani affusolate aveva indicato proprio gli stivali, come a rispondere al mio più profondo desiderio. Avevo sentito l’eccitazione salire e mi ero inginocchiato rapidamente, sperando di nascondere ai suoi occhi la mia reazione.

Ma quando mi ero trovato a pochi centimetri da quella lussuria di pelle nera, ero arrivato sul punto di perdere il controllo: la gabbietta avrebbe potuto poco, anche se mi creava dolore.

“Pulisci gli stivali, schiavo. Con la lingua.”

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