Le tette della zia – Racconto Incesto Zia

Quando ero “sistemato” in vacanza in campagna, dagli zii, non è che avessi molto da fare: tranne annoiarmi e masturbarmi. Ero diventato esperto in entrambe le attività: come adolescente, quelle vacanze cominciavano davvero a starmi strette. Anche perché l’unica cosa interessante della campagna erano le tette di mia zia.

Una sesta o forse una settima: comunque le tette più grandi che avessi mai visto, almeno dal vivo. Tanto che spesso strabordavano dai vestiti leggeri che la zia indossava in casa. Non ho mai capito se lo facesse per provocare oppure solo perché aveva davvero caldo. In ogni caso non mancavo di dedicarle almeno una sega giornaliera, immaginando di infilare la faccia e non solo in quelle montagne di carne.

In realtà con la zia avevamo un rapporto affettuoso, complice anche la non enorme differenza di età, ma niente mi poteva far sospettare che ci fosse qualcosa di altro. Pensavo fossero solo le mie fantasie. Fino a un pomeriggio particolarmente caldo.

Mi ero addormentato in camera dopo pranzo e mi ero svegliato nell’assoluto silenzio, a parte il frinire delle cicale: tanto che mi ero convinto di essere solo in casa. Per questo non mi ero preoccupato di indossare almeno gli slip: mi piaceva girare con il pisello di fuori, anche perché era quasi sempre in erezione.

Ero arrivato vicino alla porta del bagno per accorgermi che era semi aperta: non chiusa come sempre, quando qualcuno lo utilizzava. E avevo sbirciato dentro, in silenzio, incuriosito dalla situazione: c’era mia zia, uscita dalla doccia, che probabilmente non aveva chiuso la porta per lasciare passare un po’ d’aria.

Mi ero bloccato, guardando fisso il seno: le lo passava con l’asciugamano, dolcemente, e quelle due enormi bocce riuscivano comunque a stare dritte, nonostante il peso. I capezzoli erano grandi e duri, per la reazione della pelle bagnata all’aria. 

Poi la mia attenzione era stata attirata dal pelo nero in mezzo alle gambe: ero sicuro che la zia non si depilasse, ci avrei scommesso. E quei riccioli morbidi, ancora bagnati, erano perfetti in mezzo alle cosce bianche.

Non mi ero nemmeno accorto di avere iniziato a toccarmi: mi stavo masturbando di nuovo, ma stavolta tette e figa le potevo guardare, non solo immaginare. Il pene era tanto duro da farmi male: e probabilmente mi ero toccato in modo troppo brusco, tanto da lasciarmi scappare un gemito di dolore.

Peccato che nel silenzio della casa quel rumore fosse sembrato un’esplosione: la zia si era girata di scatto e aveva aperto la porta, trovandosi di fronte me, con il pisello in mano. Mi ero bloccato, in attesa di un rimprovero di quelli da ricordare. Che non era mai arrivato: perché zia, dopo un momento di incertezza, mi aveva sorriso e aveva lasciato cadere l’asciugamano per terra.

“Ma che bell’ometto che sei diventato, si vede che le mie tette ti piacciono davvero tanto.”

Probabilmente le mie occhiate non erano passate così inosservate come speravo: non sapevo dove guardare, tra le tette, la figa e il mio pisello sempre più duro. Per fortuna la zia mi aveva tolto dall’imbarazzo, prendendomi il volto con una mano e sollevandolo verso di lei.

“Ti andrebbe di toccarle un po’?”

Non credevo alle mie orecchie: oltre che guardare, potevo anche toccare. Mi ero limitato a fare cenno di sì con la testa, visto che la voce non usciva, e avevo allungato le mani verso il suo seno. Lei le aveva prese e le aveva piazzate sopra le tette, facendomi capire che potevo anche stringere, non solo toccare.

Mi sembrava un sogno: sentire sotto le mani quella carne morbida e soda e, allo stesso tempo, sentire il mio uccello sempre più duro, che quasi si contorceva senza nessuna stimolazione. 

Avevo preso confidenza, fino a stimolare i capezzoli con le dita, per farli diventare ancora più grandi e duri: non vedevo l’ora di succhiarli. E la zia mi aveva letto nel pensiero, perché mi aveva preso la testa per avvicinarla al suo seno.

Non mi ero fatto pregare e avevo cominciato a leccare e succhiare avidamente, non lasciando nemmeno un centimetro di pelle senza passare la lingua. Avvicinandomi a lei inevitabilmente la punta del mio uccello si era appoggiata sulle sue gambe: e avevo iniziato a strofinarlo, muovendo il bacino, godendo della morbidezza della sua pelle.

Avrei voluto anche toccare e infilare la lingua in mezzo al pelo nero che avevo visto prima, ma quelle tette non mi volevano lasciare andare. La zia sembrava gradire, anche le strette più forti e i piccoli morsi che distribuivo sulla pelle, visti i gemiti che uscivano dalla sua bocca.

E aveva deciso di ricambiare il favore, prendendo tra le mani il mio uccello: c’era mancato poco che venissi appena sentito il calore e la stretta delle sue dita. Mi ero concentrato, cercando di ritardare in qualche modo l’orgasmo, ma lei aveva cominciato a muovere la mano su e giù, aumentando sempre di più la velocità, quasi a copiare la voracità che dimostravo verso il suo seno.

Non potevo più fermarmi: avevo spinto ancora di più la faccia tra le tette, mentre il bacino aveva cominciato a muoversi di sua volontà, assecondando i movimenti della mano della zia. Non era la stessa cosa che farlo da solo, mi sembrava letteralmente che l’uccello mi andasse a fuoco.

Poi avevo iniziato a sentire le spinte dello sperma: a partire dalle palle, per risalire lungo l’asta, fino alla cappella. Segno che mancava pochissimo e sarei esploso.  Infatti erano bastati pochi secondi ed ero venuto, spruzzando di sperma la mano e le gambe della zia: che mi aveva munto, facendomi uscire fino all’ultima goccia, fino a quando non avevo cominciato a sentire quasi male, mentre le gambe mi tremavano.

Per fortuna le tettone della zia avevano attutito il mio urlo di piacere, che altrimenti si sarebbe sentito fino a chissà dove. Per qualche minuto eravamo rimasti così, lei con il mio uccello ormai mollo in mano e io che cercavo di ritrovare il fiato e il senso dell’equilibrio, per non cadere per terra come uno scemo.

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