Non è per nulla facile plasmare uno schiavo: bisogna capire come esprime la sua mascolinità e colpirlo proprio in questo punto delicato. Le punizioni possono essere fisiche, ma la dominazione è solo psicologica: altrimenti sono fini a sé stesse.
Il compito più difficile è stato con Luca: ovviamente lui desiderava essere uno schiavo, ma dovevo valutare se era tagliato per diventarlo. In quel periodo il mio schiavo che tanto avevo curato si era trasferito per lavoro, quindi avevo accettato la sfida.
Il primo passo era stato quello di parlare: e, ovviamente, lui si era dichiarato pronto a superare qualsiasi prova, per il piacere di servirmi. In realtà molti prima di lui hanno detto così, ma non hanno dimostrato l’animo da schiavo.
Non sono partita con richieste troppo difficili: non lo volevo come schiavo H24, volevo solo iniziare questo percorso. Il primo passo è portarlo nella mia dimora e mostrargli quali oggetti avrebbero caratterizzato la sua vita da schiavo.
“Il collare, prima di tutto, perché devo poterti portare al guinzaglio ogni volta che desidero. Poi la gabbietta di castità: devi imparare a controllare la tua eccitazione, sono io a decidere come e quando potrai godere. E, più avanti, il plug: dovrai indossarlo anche fuori di casa, per ricordarti sempre che sei uno schiavo.”
Luca non era sembrato particolarmente scosso da quella serie di obblighi: conoscevo l’entusiasmo degli schiavi, quindi avevo chiarito subito un altro punto cruciale. L’assoluta obbedienza non era negoziabile. Come non erano negoziabili le punizioni: se avessi deciso che aveva sbagliato non avrebbe potuto obiettare nulla.
E in effetti, almeno per i primi tentativi, aveva cercato di essere uno schiavo obbediente: a parte qualche imperfezione, che avevo punito con leggerezza, non era stato fonte di problemi. Finché non si era arrivati al delicato momento del piacere.
Per molti schiavi era la prova più difficile: non venire finché non era concesso dalla padrona. E questo poteva voler dire anche ore. Oppure giorni, a seconda dell’umore e delle situazioni. Per Luca era complicato, soprattutto quando mi vedeva con gli abiti della mistress o anche quando gli chiedevo di occuparsi di me, pettinarmi i capelli oppure farmi la manicure. Bastava anche vedermi nuda per eccitarlo, eccitazione più che evidente nonostante la gabbietta di castità.
Spesso lo avevo colto nell’atto di toccarsi, senza permesso. E lo avevo punito: ma frustrate e sculacciate non sembravano aver sortito alcun effetto educativo. Dovevo individuare il suo punto debole.
Non temeva il dolore fisico, questo era evidente: anzi sembrava quasi ricercarlo, come un bambino disobbediente. E, forse, avrei dovuto punirlo proprio come si puniscono i bambini: ero sicura che quello avrebbe scatenato l’emozione che andava cercando.
L’occasione era arrivata molto presto: si era nuovamente toccato senza permesso, mentre mi serviva la cena. Quindi si era messo in ginocchio in attesa della punizione: ma quella volta ero riuscita a sorprenderlo.
Lo avevo fatto alzare in piedi appoggiando la fronte al muro: mi avrebbe atteso nell’angolo, mentre finivo con calma la cena, proprio come uno scolaro in punizione. Avrebbe funzionato meglio se lo avessi potuto tenere sulle ginocchia, proprio come un bambino: ma era troppo alto e pesante per me. La punizione però doveva essere chiara.
“Vai in camera e aspettami là. Non devi fiatare.”
Lo schiavo aveva obbedito e si era mosso velocemente: io dovevo pensare a quale strumento utilizzare. Una vecchia nonna avrebbe scelto un bel battipanni in legno, peccato non ne avessi in casa da secoli. Ma una madre severa avrebbe decisamente preferito le sculacciate: che bruciano e lasciano il segno.
Era tanto che non usavo direttamente le mani su uno schiavo: avevo sempre preferito uno strumento per mediare il contatto, per mantenere una distanza emozionale. Ma in questo caso il contatto era necessario per suscitare le emozioni che desideravo: non sarebbe stata importante la forza, quanto piuttosto il gesto.
Lo schiavo era in camera in piedi davanti al letto: ero sicura che si fosse nuovamente toccato, approfittando del fatto di essere solo. Mi stava sfidando, in modo che potessi affermare il mio ruolo: dovevo ancora piegare il suo spirito e spingerlo ad affidarsi a me.
“Mettiti in in ginocchio, sul letto.”
Mi aveva obbedito velocemente, mentre io passavo sulle mani una delle mie creme “speciali”: di solito la utilizzavo per i massaggi, perché riusciva a produrre un piacevole effetto di calore. Ma in questo caso il calore non avrebbe fatto che accentuare il bruciore delle sculacciate e quindi fatto crescere la sensazione di disagio per Luca.
“In questo periodo sei stato davvero un bambino cattivo e hai disobbedito troppe volte alla tua mamma.”
Lo avevo visto sussultare all’ultima parola: ero sicura di avere colpito nel segno, doveva identificare la figura della padrona con sua madre, probabilmente la prima donna che gli aveva dato ordini e a cui lui si era ribellato.
“Ti ho già punito, ma probabilmente non sono stata abbastanza severa. Perciò questa sera dovrò sculacciarti e mandarti a letto senza cena.”
Ancora quel sussulto: probabilmente questa era la sua punizione tipica quando era bambino. Mi ero avvicinata silenziosamente e avevo sferrato il primo colpo, diretto alla natica destra. Un gemito, più di sorpresa che di dolore, e poi non avevo più sentito un fiato. Quindi i colpi erano continuati, non troppo veloci e molto controllati: non potevo fargli danno, ma non volevo nemmeno stancarmi troppo presto.
Gli unici rumori che si sentivano erano quelli della mia mano sulla sua pelle e quella dei suoi respiri, che si facevano man mano più sincopati. Non ero arrivata ancora al punto giusto, ci voleva qualcosa di più.
“Sei stato davvero cattivo e hai fatto arrabbiare mamma: lo sai che fa più male a me che a te, ma devi imparare a obbedire.”
Il potere delle parole: i respiri si erano trasformati in un pianto che in pochi attimi era diventato quasi convulso.
“Perdonami mamma, hai fatto bene a punirmi. Ti giuro che non lo farò più.”
Era stato davvero bravo e la mano mi doleva: avevo deciso che si meritava un premio e mi ero avvicinata a lui, liberandolo dalla gabbietta di castità.
“Va bene, per questa volta sei perdonato. E ora mamma ti farà un bel regalo.”
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